Esco dall’ufficio, alla fine di una lunga giornata di lavoro.

Strana la metafora della mia giornata: devo fare una sorta di scalata per arrivare in ufficio, una via lunga e ripida mi porta, ogni giorno, alle mie sudate carte.

Ogni mattina la giornata parte in salita.

Ma a fine serata la discesa alleggerisce il mio spirito.

Oggi c’è stato un temporale, cammino piano sui gradini bagnati, uscendo dal portone con circospezione, fino a guadagnare la strada che mi riporterà verso casa.

Quando credo di aver passato la parte più difficile, ecco succedere il fattaccio.

Metto male il piede e scivolo.

Cado giù, ruzzolo, rotolo e rimango a pancia all’aria a guardare la luna dalla fine di quella discesa, nel punto in cui la via si unisce alla strada principale.

Mi sento un vecchio di novant’anni.

Arrivano alcuni passanti che mi aiutano.

Hanno qualcosa di familiare e anomalo allo stesso tempo.

Lei alta, fascinosa con quei capelli neri e la sua frangetta, un vestitino fru-fru con trasparenze svolazzanti che lasciano intravedere ai sognatori.

Lui panzuto, modo di fare dotto, dotato di un fiuto fuori dal normale.

È lui che esordisce:

«Vossignoria sta bene?».

Resto in silenzio, lei sembra aver capito i miei pensieri o forse è il mio sguardo a dirle tutto.

«Suvvia non vedi che ha battuto la testa, se poi gli parli così lo confondi del tutto, sei veramente antico».

Lei non vede l’ora di potermi afferrare dalle spalle per sollevarmi, ma la macchina fotografica l’intralcia.

Visto poi che non sono una piuma, ecco che deve intervenire anche lui.

«Si lasci aiutare Messere, la ritraggo affaticato».

Mi scappa una risata.

Lei mi guarda con occhio languido, lui si toglie il cappello e mi fa un inchino, ma vedo solo la panza che esplode nel gesto e focalizzo lo sguardo sul suo nasone.

Poi riguardo lei, mi ricorda qualcuno.

Lei si avvicina e mi sussurra all’orecchio:

«Stai bene ragazzo? Io sono Valentina, piacere».

Sono colpito dalla miscellanea tra il profumo e il nome, non una Valentina, è proprio quella Valentina, un ricordo della mia adolescenza, quella dei fumetti.

Lui si ingelosisce, si avvicina e mi incalza.

«Cyrano de Bergerac, al vostro servizio Messere…»

«Steve – rispondo io – gli amici mi chiamano Steve».

Provo ad alzarmi e a fare lo splendido, ma ancora barcollo, mi gira la testa.

Il duo si offre di accompagnarmi da un loro amico per rifocillarmi un attimo e mettermi seduto, aspettando che i capogiri finiscano.

La via che percorro ogni giorno è sfumata, come avvolta nella nebbia, mi trovo in una sorta di non luogo, catapultato in quel consesso per una qualche anomalia metafisica, temporale, o semplicemente meteorologica.

In definitiva, mi ritrovo ad un inaspettato e quanto mai variegato aperitivo, in compagnia della Valentina di Crepax e di Cyrano de Bergerac, “figlio” di quell’Hercule Savinien, precursore nel 1600 della letteratura fantascientifica, che mi sarebbe piaciuto incontrare tra le vie di Bologna.

Aperitivo anomalo, intendiamoci.

Cyrano dichiara in anticipo che «avendo la panza, non farà creanza», in parole povere non berrà né mangerà, ma si dichiara apertamente curioso di conoscere e parlare con quello strano ragazzo del futuro.

Che poi sarei io, che per ironia della sorte, quando ero ragazzo mi davano del nonno e adesso sembro essere diventato d’un tratto “Il giovane”.

Guardo con ammirazione Valentina che ascolta concentrata l’oste.

L’oste baffuto declama il menu, come se fosse il Rigoletto.

Tante, troppe cose, che mandano apparentemente in tilt la donna col caschetto, che vorrebbe «questo, quello, piuttosto anzichenò…», ma poi si contiene e ordina una frisella cunzata al pomodoro, dicendo di avere soltanto «uno sfriccicorìo di fame».

Io mi lascio sedurre dal fascino senza tempo delle polpette.

Lei ordina da bere, questa volta decisa.

Sciampagnino, versione bambinesca e sudista del ben più noto Champagne, un toccasana per il mio mal di testa, scende giù alla grande e mi ritempra, nel corpo e nella mente.

Il magico potere dell’uva fermentata.

Lei dichiara apertamente che la frisella le ha aperto lo stomaco, adesso ha voglia di qualunque cosa, che declama invocando un vero e proprio menu immaginario.

Tra un racconto e una romanza, tra i deliri di Cyrano, le divagazioni di Valentina e le mie curiose richieste, il discorso, inspiegabilmente, vira sull’arte.

E qui succede l’imponderabile.

Colpa mia ovviamente e delle mie domande impudenti:

«Ma per voi cos’è un artista?»

Interviene Valentina:

«Io non so cosa sia un artista, o la sua definizione, e forse non mi interessa neanche, non me lo sono mai chiesto, a me interessa l’opera. Se l’opera mi arriva, mi conturba e mi sconvolge allora ciò, fa di colui che l’ha fatta un artista.»

«Non sono affatto d’accordo Messere Steve – replica Cyrano – l’artista è colui al quale prima o poi la società attribuisce tale status, perché è stato capace di dire qualcosa, magari non è capito nel suo tempo, magari sarà riconosciuto il suo valore dopo secoli. A volte è necessaria una sua interpretazione o quella di altri, per consentire che il suo messaggio sia decodificato, e allora sarà riconosciuto finalmente il suo valore e quello dell’opera sua figlia.»

«Suvvia Cyrano, non essere sciocco, non si può spiegare l’arte, devi viverla per come ti arriva», incalza Valentina.

Ma il mio nuovo nasuto amico replica piccato e preciso:

«Io non sono un’artista, ma il mio naso è un’opera d’arte, sarò ricordato nei secoli per questa mia opera, che farà di me un artista? O invece l’umanità mi apprezzerà per ciò che ho fatto?».

Valentina si infiamma e si conturba nelle movenze:

«Il tuo naso non è soltanto un’opera d’arte, è bellissimo.»

Intervengo io con una delle mie solite supercazzole:

«Non si sta oggettivizzando l’arte, né soggettivizzando l’artista, insomma, credo che stiate esprimendo lo stesso concetto, ma da due prospettive differenti. Vi ringrazio amici miei, brindiamo a noi».

Capisco che c’è del tenero in quella conversazione animata, viro a tribordo.

Anzi mi correggo, c’è la passione nelle loro parole, la passione del loro essere e la passione tra loro.

Chi l’avrebbe mai detto di poter passare una serata con una bella e quanto mai inaspettata coppia!

È arrivato il momento di lasciarli alle loro effusioni amorose, per far ritorno a casa.

Arricchito dalle brillanti discussioni, che sfumano nella nebbia di quel momento vissuto, mi avvio lungo il mio cammino.

Domani, inesorabile, mi aspetta la salita.

 

  Stefano Foglia

 

Still: René Magritte “Verso il piacere”